In questi giorni mi ritrovo sempre più spesso a canticchiare “e vedere di nascosto l’effetto che fa”, da Vengo anch’io no tu no di Enzo Jannacci. Oggi, poi, continua a frullarmi per la testa.
Domani qualcosa cambierà. Tutti i giorni qualcosa cambia, certo, e da quando è esplosa questa pandemia mi sembra che i pensieri e i comportamenti scadano come le uova, eppure la giornata di domani esibisce il cambiamento come il titolo sulla targhetta di un’opera esposta in un museo. E così sembra assumere la stessa forza spiazzante di un ready-made di Duchamp, con annessi pareri contrastanti sullo status di opera d’arte. Penso ad esempio all’opera Fontana, l’orinatoio che spostato di contesto e di uso porta con sé un nuovo punto di vista e diventa opera d’arte, e mi viene da usarlo per immaginare lo spiazzamento che apre la targhetta di “Fase 2”.
È un orinatoio o è un’opera d’arte? È la fase 2 o siamo ancora nella fase 1? Cosa possiamo fare e cosa no? Mi sembra che la possibilità di uscire, con tutto l’investimento emotivo che comporta, anche per chi ammette di non averne nessuna voglia, porti con sé tante domande e infinite sfumature di risposte in merito a cosa si dovrebbe o non si dovrebbe fare.
Fino ad oggi dovevamo stare in casa, punto. Le decisioni ci sembravano dominio di esperti e governanti. Ora dobbiamo prendere tante decisioni, e dobbiamo farlo anche per atti che prima rientravano tra le routine quotidiane. Il confine tra quel che si può e quel che non si può, quel che si deve e quel che non si deve fare, è molto meno netto, e ognuno di noi viene investito della responsabilità di gestire lo spazio a propria disposizione. La responsabilità, non la colpa di cui tanto si è parlato. E questo dà le vertigini.
Nello stesso tempo, però, ognuno di noi ha l’occasione di provare a vedere che effetto fa questo nuovo ordinamento e che effetto facciamo noi al mondo.
Accanto alla paura e all’ansia, che sono senz’altro le più nominate e quelle che tendono a prendere il comando (in una ipotetica cabina di regia come nel film Inside out), possediamo un’ampia gamma di altre modalità per raccogliere informazioni su quello che succede e sulle modalità di comportamento che possiamo mettere in atto. Paura e ansia magari non andranno via del tutto, perché non sono come un dente che fa male e che può essere estratto, ma sono strumenti di conoscenza, e come tali appartengono al dominio dei significati. Ma a restare in ascolto, annusare, andare a tentoni, si scoprono altre forme per descrivere un’esperienza e avere così accesso a un ribaltamento di contesto diversamente impossibile che apre la via a nuovi significati. Pensiamo alle esplorazioni e alle scoperte dei bambini. Come loro, in questo senso, anche noi abbiamo l’occasione di vedere il mondo con occhi nuovi e provare a esplorare non tanto ciò che possiamo o non possiamo fare, ma soprattutto ciò che vogliamo per noi, trovando il nostro modo di tenere insieme le abitudini consolidate con quelle costruite in quarantena, e di declinarle nello scenario in cui stiamo vivendo per sentirci un po’ più comodi.