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La mano è l’organo della carezza

Humberto Maturana (1928 – 2021)
Questo mio scritto in ricordo di Humberto Maturana è pubblicato nel n. 10 di Connessioni - Nuova serie, la rivista del Centro Milanese di Terapia della Famiglia.

Aveva una faccia seria e simpatica insieme. Questo è quello che ho pensato quando ho saputo della morte di Maturana, conoscendo poco delle sue idee.

Ora che sto cercando di avvicinarmi al suo pensiero (che fatica e che bellezza!), mi sembra che guardare quella faccia, seria e simpatica insieme, sia stata la mia prima esperienza del suo insegnamento, di quel modo di conoscere e dare valore al mondo con il corpo e con la tenerezza dello sguardo.

Da biologo, Maturana ci ha detto che la nostra conoscenza si costruisce con il nostro corpo che attraversa il mondo, e che noi, soggetti della conoscenza, siamo prima di tutto esseri viventi. Prima ancora che esseri pensanti, come ci ha abituato a credere la tradizione di pensiero che, da Cartesio in avanti, separa la mente dal corpo e risolve questo dualismo in favore della razionalità, considerando le emozioni come qualcosa da tenere a bada. Invece, noi siamo costantemente immersi nelle emozioni e, se la razionalità è importante per comprendere qualcosa, le emozioni sono fondamentali per rendere possibile l’interazione all’interno della quale la conoscenza avviene. Quindi, le emozioni sono fondamentali per comprendere qualcosa di quello che sta succedendo e per costruire il pensiero.

In terapia tenere presente questo ci consente di immergerci negli inevitabili processi emozionali senza sentircene in balìa, ma considerandoli, semmai, informazioni preziose per la pratica ricorsiva, perché, come scrive Philip Roth nella sua autobiografia, “ogni avventura dell’immaginazione comincia laggiù, con i fatti”, comincia, insomma, con il corpo.

Maturana parlava dell’amore, e lo intendeva in modo diverso da come siamo abituati. Non era per lui un eventuale esito dell’incontro, ma la disposizione corporea che muove per renderlo possibile, aprendo lo spazio per riconoscere l’altro come legittimo altro. Né giusto, né sbagliato. Altro. La mano, diceva Maturana, è l’organo della carezza, il gesto attraverso cui entriamo in contatto con l’altro e lo accogliamo così com’è.

Di Maturana, più di tutto, mi tengo stretta l’espressione del viso, quel misto di simpatia e serietà, che insieme consentono di sentirsi e stare con l’altro, nella sua unicità, in un incontro accogliente come una carezza, e di assumersi la responsabilità del proprio agire. È questo che ho imparato ed è così che ho imparato in questi anni di formazione: accarezzata da un contesto ospitale, ho sperimentato il valore di accarezzare il mondo e la fiducia di provare a costruire un contesto di cambiamento in cui aprire alla possibilità di essere felici, in senso etimologico, capaci di dare frutto.

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