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Panchine cicale navi e altre cose che aiutano a stare meglio

Sono di ritorno da un viaggio nelle isole greche, un viaggio lento, zaino in spalla, senza meta ma con direzione.

Credo che il viaggio e la terapia abbiano molto in comune. Entrambi, come luoghi dell’incontro, sono zone di passaggio, eterotopie nella loro funzione di spazi altri in cui sperimentarsi nella costruzione di vie in collegamento con il mondo in cui si vive abitualmente.

I bambini conoscono benissimo questi contro-spazi, queste utopie localizzate. L’angolo remoto del giardino, la soffitta o, meglio ancora, la tenda degli indiani montata al centro della soffitta, e infine – il giovedì pomeriggio – il grande letto dei genitori. È in quel letto che si scopre l’oceano, perché tra le sue coperte si può nuotare; ma quel letto è anche il cielo, perché sulle sue molle ci si può saltare; è il bosco perché ci si può nascondere; è la notte, perché fra le sue lenzuola si diventa fantasmi; ed è il piacere, perché al ritorno dei genitori si verrà puniti.

MICHEL FOUCAULT, Utopie Eterotopie.

Pensando ad alcune delle esperienze vissute, tra quelle più significative per intensità o per frequenza, ho tratto qualche immagine e indicazione che mi paiono utili a orientare la strada verso la salute.

Non fissarti su una meta, ma prendi una direzione

Quando viaggi senza prenotare, ma anche quando organizzi, può capitare che non tutto fili liscio. Più di una volta, l’autobus o la nave che avremmo voluto prendere non c’erano, non in quel momento. Ebbene, prendere qualcosa che ci aiutasse ad avvicinarci ci ha permesso di vedere cose di cui non sapevamo l’esistenza o che non avevamo preso in considerazione. La meta riempie gli occhi e fa perdere di vista quello che succede, che a volte sorprende per incanto. La direzione è più un’intenzione, è qualcosa che ti dà idee nuove per proseguire. La direzione si cambia più facilmente, è un esercizio di flessibilità. E la flessibilità è proprio quello che serve per barcamenarsi tra le faccende della vita. Spesso si sente dire ‘ho perso il treno’. Hai perso quel treno. Capita. Ma tu continua comunque ad andare, ne passeranno altri. Che ti porteranno lì o altrove, lo vedrai strada facendo.

Anche nella mia attività clinica opero con direzione, senza fissarmi su un’idea di cambiamento ideale. Resto in ascolto e cerco di creare le condizioni per l’esplorazione di nuove possibilità per il cambiamento. Quale, sarà ognuno a valutarlo per sé. Cerco sempre di moltiplicare, non di sostituire.

Fermati un momento e guardati intorno

I greci hanno la gentilezza di spargere panchine in ogni luogo da cui si vede il mare, anche lungo una strada in cui passano solo auto e sembra non ci sia nemmeno un posto in cui sostare. Come a dire: fermati un momento, guarda. E così impari il gusto di sostare, anche quando non c’è nessun mare da guardare, perché anche lì le panchine non mancano.

La panchina è il posto in cui prendersi una sosta e guardarsi intorno, per poi riprendere la strada. È abbastanza comoda per riposare i piedi, ma non così tanto da non volersi più alzare. Di solito è posizionata all’aperto, oppure negli spazi pubblici come le sale d’aspetto o i ponti delle navi. C’è sempre spazio per qualcun altro.

Spargiamo panchine e usiamole, anche quando abbiamo la sensazione di non potercelo permettere. Sono panchine, non sono divani.

Il tempo è intero, e tu puoi decidere che forma dare

Nell’arcipelago di Patmos c’è un isolotto in cui non c’è niente, eppure c’è tantissimo: tre taverne con stanze su una lunga spiaggia quieta. Nella taverna in cui andiamo abitualmente, Theo e la sua famiglia fanno l’orto, conservano, estraggono polveri, abitano la terra e i suoi cicli. E tu con loro, mentre stai lì. Ti svegli con la luce del sole e ti corichi quando è buio. Lì impari a stare davanti al mare, perché sai che, alla fin fine, è solo da lì che arriverà davvero qualcosa di importante. E torni un po’ bambina, quando ti addormentavi col sonno e potevi stare ore a giocare finché il richiamo dei genitori ti faceva rendere conto del tempo passato.

Il tempo è intero, siamo noi che lo spezziamo, ed è giusto che lo facciamo, è utile, ma come lo facciamo è una nostra scelta. Non è il tempo che corre, siamo noi che corriamo e lui ci segue.

Il tempo per spostarsi e arrivare non è mai tempo perso, ma è spazio per avvicinarsi

Siamo stati su 22 imbarcazioni, tra traghetti, catamarani, aliscafi, battelli, pescherecci e gommoni, per un tempo corrispondente a ben più di 100 ore, più altri mezzi come treni, autobus, motorette, auto. Quel tempo in cui non si faceva apparentemente niente, spesso anche senza campo per i telefoni, era in realtà un tempo prezioso, un tempo in cui raccogliere quello che era stato e predisporsi al nuovo, un tempo in cui immaginare e avere fiducia. Un esercizio. Perché il tempo dei passaggi è anche spazio che funge da collegamento tra ciò che non è più e ciò che non è ancora, e allora bisogna prenderselo per tenere insieme i pezzi e avvicinarsi al nuovo capaci di prenderne il ritmo, anche quando non ci si sente tanto comodi e si ha fretta di arrivare.  

Penso ai momenti di passaggio della vita di ognuno, come la fine di una relazione, la ricerca del lavoro o evoluzioni nei cicli di vita. Dobbiamo prenderci cura delle discontinuità, affinché possano muovere verso nuove ristrutturazioni, restituendo allo sguardo tutta la complessità e la bellezza dell’esistenza.

Hai bisogno di te
hai bisogno di questo tempo 
in cui non si cucina
e non si prega
si sta. 
Soli e improvvisati
abbandonati e senza senso
si sta, frastornati
e vuoti. Si sta.
E l’indomabile fiducia
accucciata fuori dalla porta
come un cane folle
di devozione
dorme sonni
che contengono alba.
Chandra Livia Candiani
Non dimenticarti di cantare, o almeno fischiettare

In Grecia, come in molti posti fuori dalle città, ci sono le cicale. Ne ho sentite tante, le ho sentite sempre, ed era un buon suono per le orecchie, un antidoto per il rumore del traffico a cui sono abituata. Fin da bambini, ci viene raccontata la storia della formica e della cicala. D’accordo, è importante essere operosi e previdenti, ma non bisogna mai dimenticare di tenere un po’ di tempo per cantare, per gioire, per ricordare che non possiamo controllare tutto e allora, a volte, cantare ci può aiutare a stemperare il pianto o a mettere in fila le parole, che non sempre si trovano. Ci può aiutare, insomma, a spostarci un poco e a guardare in modo diverso le cose che ci accadono.

Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende…
regala!
Gianni Rodari
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