Categorie
Blog

Oltre la resilienza

L’anno che sta volgendo al termine è stato piuttosto complicato. In senso letterale, pieno di pieghe. La pandemia in corso, esplosa con forza all’inizio di questo 2020, si è fatta immediatamente terreno comune di avversità, impegnandoci spesso a tenerci in piedi e a procedere a tentoni tra le piccole e grandi avversità della vita quotidiana che, in queste condizioni, rischiano di farsi più frequenti, più faticose o più gravi.

Insisto col termine avversità perché anch’esso ha a che fare con le pieghe, con qualcosa che si gira contro, che non fila liscio, qualcosa, insomma, che non va come abbiamo immaginato. Tutti questi giri danno le vertigini, e ogni volta che arriva un’avversità veniamo colti da un senso di disorientamento misto a sopraffazione, di fronte al quale le reazioni di scoramento, di paura, di rabbia, di nostalgia sono del tutto naturali, umane. Così come è comprensibile il bisogno di semplificazione. Ma sta proprio qui, credo, in questa perdita della complessità della vita, il rischio più significativo che questi sentimenti perdurino nel tempo. L’esistenza, infatti, proprio nel suo essere complessa e sfaccettata, offre spesso molte più possibilità di quelle che riusciamo a vedere. A volte, poi, può essere complicata, e questa invece è una scocciatura.

Le avversità non sono necessariamente eventi traumatici

Una semplificazione frequente è quella di confondere le avversità con i traumi. Lo facciamo più spesso di quanto pensiamo. Ad esempio, quando diamo per scontato che i litigi dei genitori avranno delle conseguenze negative sui figli. Ogni avversità, come tutte le faccende della vita, è fatta di tanti aspetti, e anche la più spiacevole o dolorosa non è necessariamente un evento traumatico. Il trauma, infatti, ha a che fare con l’impatto che le cose hanno su di noi e questo dipende da cosa vediamo, e quello che vediamo varia da persona a persona, ma anche nella stessa persona a seconda dei momenti e dei contesti.

Agisci sempre in modo da accrescere il numero delle possibilità di scelta.

Heinz Von Foerster

Un’avversità può diventare traumatica soprattutto quando possediamo una combinazione unica di possibilità di affrontare un evento, e se questo assume una piega imprevedibile, noi restiamo spiazzati e non sappiamo più come fare. Quindi, è importante essere allenati a costruire alternative, e a volte può essere utile chiedere aiuto, perché costruire nuove possibilità è qualcosa che si può imparare e che può diventare imperativo etico, come suggerito dall’epistemologo Heinz Von Foerster: agisci sempre in modo da accrescere il numero delle possibilità di scelta.

Dobbiamo imparare la pazienza

In questo modo, un’avversità può diventare un’occasione per mettere in discussione le proprie premesse, e dunque un’occasione di cambiamento. Ma non è l’avversità di per sé ad essere un’occasione, siamo noi, semmai, che quando abbiamo a che fare con un’avversità abbiamo anche la possibilità di costruire qualche sviluppo utile per la nostra crescita. E per fare questo dobbiamo imparare la pazienza, resistendo alla tentazione di voler sconfiggere tutto ciò che si oppone, perché è proprio questo che rischia di imprigionarci in una visione lineare secondo cui ad A deve seguire B e se questo non succede ci facciamo abbattere dallo spaesamento che ne segue. Esercitare la pazienza, invece, significa stare con la sofferenza, perché anch’essa fa parte della vita, e provare ad avere fiducia che quello spaesamento possa diventare tempo fruttuoso per passare da chiedersi come è potuto succedere proprio a me a immaginare cosa ho imparato di utile per la mia vita.

Quindi, quando ci troviamo di fronte a qualcosa che non va come vorremmo o come avevamo immaginato, può essere di giovamento avere in mente che non tutte le avversità hanno impatti negativi, che addirittura è possibile che alcune portino a una crescita, che questo non è merito (o colpa, nel caso opposto) dell’avversità, ma dipende dalla lettura che noi ne diamo, e che non necessariamente il nostro benessere ha a che fare con una restitutio ad integrum, una sorta di stiraggio delle pieghe.

Le pieghe, infatti, sono anche strade da percorrere per aprire nuove possibilità di crescita, e questo è qualcosa che va al di là della resilienza, perché quello della resilienza è un concetto neutro che ha a che fare con la capacità di non farsi spezzare, ma non con quella di cambiare. Se abbiamo in mente tutto questo, invece, possiamo imparare a illuminare gli elementi di vitalità che vanno oltre la resilienza e che attivano nuove energie, e possiamo vedere di più e cogliere meglio la ricchezza del mondo, con le sue pieghe che possono essere preziose come un tessuto di lino.

Insomma, uno ne farebbe volentieri a meno delle avversità, ma sapere che ci sono, che possono capitare, riconoscere la nostra fragilità, ci consente di averci a che fare pensando che ne possa venire fuori anche qualcosa di buono, che sappia mettere in discussione le nostre premesse e renderci più flessibili, più umani, più capaci di maneggiare la complessità. E anche quando queste pieghe si fanno solco e ferita, questa può cicatrizzarsi e farsi segno di un passaggio. La crescita, d’altra parte, presuppone che si accetti che non si tornerà più come prima. Quando abbiamo a che fare con eventi del passato, infine, tante memorie possono essere incanalate in rivoli che non vanno necessariamente verso il dramma, e si possono intravedere sempre delle scintille di senso da cui co-costruire nuove narrazioni.

Condividi