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Di cosa parliamo quando parliamo di umanità

Roberto Latini ne I giganti della montagna di Fortebraccio Teatro

Che cos’è l’umanità? Come caratteristica che si attribuisce alle persone, intendo. La sto sentendo e usando molto, anche nel suo contrario, ma mi rendo conto di fare fatica a definirla. Eppure, non ho alcuna esitazione a riconoscerla quando la vedo.

Ezio Bosso, ad esempio, aveva una grande umanità, ed è anche quella che rende così commosso e vivo il suo ricordo. Aveva, cioè, la capacità di stare tra gli accidenti della vita, con un accidente della vita, e la generosità di mostrarsi nelle sue grandezze e nelle sue fragilità. Un po’ come se ci dicesse:

guardate che ce la possiamo fare, guardate che la vita è bella anche se non è facile, guardate che non va tutto liscio, eppure possiamo sempre trovare un modo per essere felici, per dare frutto. Possiamo sempre trovare un modo per trasformarci insieme alla vita.

Tutta la ferocia che si è mossa contro Silvia Romano, invece, è disumana, e lo è proprio perché è reazione alla complessità e ai paradossi dell’esistenza, che, intollerabili, vengono combattuti in nome di ideologie e modelli di pensiero, dimenticando che Silvia, prima di tutto, è una persona, proprio come tutti noi. Dimenticando, quindi, che la vita, quella di tutti, può prendere sentieri imprevedibili.

Ezio Bosso si definiva un uomo con una disabilità evidente in mezzo a tanti uomini con disabilità che non si vedono. E questo mi fa venire in mente l’idea dello psicanalista Sergio Erba, mutuata dal paradigma sistemico, che non ci siano sani o malati, ma solo persone motivate o meno alla cura.

Anche il lavoro di chi cura, dunque, è un incontro di umanità. È fatto della capacità da parte del curante di essere un interlocutore “sufficientemente sano”, capace di connettersi con l’esistenza dell’altro e di riconoscerla come unica e irriducibile.

Spesso si pensa che ci sia una corrispondenza lineare tra problemi e soluzioni, ma in realtà le soluzioni sono tantissime ed è importante trovarne una adatta a sé, ma è ancora più importante imparare a costruirsele da sé, le soluzioni, perché i problemi nella vita si ripresenteranno. E spesso le soluzioni non sono l’eliminazione del problema, ma la capacità di averci a che fare.

Impara tutto sulla musica e sul tuo strumento, poi dimentica tutto sia sulla musica che sullo strumento e suona come ti detta il tuo animo.

Charlie Parker

Il terapeuta sufficientemente sano, quindi, è capace di mettere da parte teorie e tecniche per incarnare quello che pensa e fare come diceva Charlie Parker: impara tutto sulla musica e sul tuo strumento, poi dimentica tutto sia sulla musica che sullo strumento e suona come ti detta il tuo animo. Ed è capace di trasmettere serenità di fronte alle incertezze e alle difficoltà della vita, riconoscendosi su un piano di reciprocità umana rispetto alla persona che ha di fronte, perché nessuno, nemmeno il terapeuta, sa a priori quale può essere la soluzione. Ed è proprio tutto questo che può infondere fiducia nella possibilità di farcela. Solo così la stanza di terapia può diventare davvero il contesto in cui riconnettersi con l’esistenza e permettere la costruzione di soluzioni utili, invece di andare alla ricerca di quello che non funziona per aggiustarlo.

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